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Prizzi

Le origini di Prizzi sono avvolte nel mistero come l'etimologia del suo nome che compare sotto forma di Peritium negli antichi diplomi normanni. Difficile stabilire se e quando vi si siano trasferiti gli abitanti dell'antico sito archeologico che sorge sull'opposto Monte dei Cavalli. In cima a questo già nell'VIII secolo si stabilirono tribù Sicane con le quali già dal VI o forse prima intraprendenti Greci stabilirono rapporti commerciali. Le numerose campagne di scavo condotte sull'acropoli, a cominciare da quella avviata dal prof. Nenci della Normale di Pisa. e proseguito per la diligenza e l'impegno economico dei vari sindaci che si sono susseguiti, hanno riportato alla luce le fortificazioni con le mura e le torri di difesa e la pianta del vasto sito che testimonia una presenza continua fino al periodo ellenistico (secoli IV-III a.C.). Gli splendidi reperti rinvenuti, gli ambienti cultuali dell'acropoli e il grande auditorium del teatro, che si evidenzia nel bacino alla base settentrionale delle mura, denotano un alto indice di civiltà al centro, sbalorditivo prosperità per una città così internata tra i monti e testimoniata dalla vasta necropoli che si estende per decine e decine di ettari in un ridente poggio aperto al sole del tramonto, formato da migliaia di sepolture, alcune delle quali monumentali, sontuose nella struttura e nel ricchissimo corredo funerario, ceramiche preziose e gioielli raffinati e di rara bellezza, grandi quantità di monete, generalmente puniche, ma anche numerose greche ed altre italiche, importante patrimonio del Museo archeologico "Salinas" di Palermo, ma anche tesoro e forte nucleo del locale Museo di Corso Umberto, strutturato in tre sezioni: mineralogica, preistorica e archeologica. Il sito, secondo l'opinione comune, è da identificare con l'Hippana (per il paradiso amore, salvo l'insistente scempio di Hyppan a) di Polibio I 24, 10, distrutto dai Romani nel 258 a. C., identica alla Sittana di Diodoro XXIII 9, 5. I romani dovettero valutarne l'importanza strategica, come testimonia la famosa pietra miliare, che rivalutò l'antica strada ellenistica proveniente da Agrigento, che ripararono e adattarono. realtà abitata dei secoli successivi, solo in età bizantina troviamo alcune tracce di insediamento nel territorio, documentate solo archeologicamente attraverso reperti, acquisite nel 1976 e conservate presso la "Prähistorische Staatssammlung" di Monaco nella sezione del "Museum für vor-und Frühgeschichte ". La collezione raccoglie reperti, “assegnati a due tombe in un cimitero di ignote dimensioni, che contengono ogni volta un solo vaso (di vetro o di terracotta), acquistato da un privato. Il luogo del ritrovamento deve essere situato a circa 2 km a sud-sud-ovest di Prizzi ". In uno è stato ritrovato" in condizioni assolutamente buone ", uno stupendo" vetro, molto alto e slanciato, in vetro verdastro chiaro, quasi opaco , con base omphalo e bocca solida leggermente arrotondata, alta 13,7 cm ". Altri preziosi reperti in terracotta sono stati rinvenuti in un non meglio specificato cimitero bizantino di Filaga di località ignota e di dimensioni sconosciute e rinvenuti in cinque tombe. Anche le radici bizantine nel territorio sono testimoniato dalla toponomastica, come le località Cerames-Ciaramitaro, "il luogo dei ciaramiti", Fitalia, "la piantagione", Filaga, il fiume Sòsio. La presenza bizantina sulla sommità del monte Prizzi è storicamente provata dalla testimonianza di 'Alî' ibn 'abî Bakr' al Harawî, instancabile pellegrino giramondo proveniente da Mossul, per questo detto "il randagio". Accaduto nel 1175 in Sicilia, nelle sue Note sui luoghi da visitare in pellegrinaggio, nel consigliare la visita dei luoghi siciliani sacri al culto di Maometto, ha scritto: "Io n Qal'at Brzzû (Rocca di Prizzi) è la tomba di 'Abû' al Hassân 'ibn Mu'âwîah' ibn Hudayg Sakûnî. Si dice che questa fortezza ei castelli dell'isola siano stati conquistati da lui. Dicono anche che questo Hassân ha assunto [il compito] di uccidere Muhammad 'ibn' abi Bakr e bruciare [il suo cadavere]. Dopo tutto, Dio conosce la verità ”. Infatti, quando caddero le fortezze di Caltabellotta e Corleone, intorno all'840 anche quella di Prizzi si arrese ai guerrieri saraceni, guidati dall'antico qadi 'Asad' ibn 'al Furât, improvvisato comandante supremo (amir al-giaysh), ed eccitato dal fede nell'Islam e dal fanatismo del gihad, la "guerra santa". Il paese accolse tribù, principalmente berbere, sulla sua sommità e nei campi fiorenti, che modificarono non solo la toponomastica, ma operarono anche un benefico sfruttamento del territorio, irrigando orti e orti con le numerose favare del territorio e creando gebbie e catusi. E nell'antico castello bizantino che un giorno risuonava del passaggio delle sculture, nella cappella dove riecheggiavano Christòs anésti e le litanie bizantine, dall'alto nido degli aquiloni risuonava Allah akhbar nelle valli! del muezin che metteva in guardia i fedeli sparsi per le numerose frazioni. Ancora oggi il paese con le sue viuzze in "scalinate", i vicoli stretti, i cortili silenziosi, gli archi sospesi ed i muretti a secco, richiama inconfondibilmente l'ordito dei paesi arabi. La popolazione del territorio era talmente diffusa che ai tempi del re Ruggero II e del grande El-Idrisi, oltre all'arabo Barazzû-Prizzi, vantava fiorenti casali come Raja, Guddemi, Hancarmutu, Margana, ancora la bizantina Fitalia . Che il Norman Pirizium-Perizium corrispondesse al precedente villaggio saraceno trascritto con Brzû-Barazzû (o forse meglio Birizu?) E che fosse con certezza di ampia consistenza demografica, è evidente dalla dettagliata descrizione, che fece diciotto anni dopo, intorno 1154, il grande geografo al-Idrisi nel suo prezioso e famoso Libro di Ruggero: Barazzû-Prizzi "è un castello (hisn) di un sito bellissimo e di grande fortezza, con un villaggio abitato (rabad), acque correnti, sorgenti, terre seminare che estendano distanze e produzioni [da estrarre] grandissime entrate ". La comunità era così prospera che uno dei nostri lontani connazionali musulmani poté permettersi di compiere il prescritto pellegrinaggio alla Mecca, diventando hagg al-amir, cioè "il signore del pellegrinaggio", da cui il distretto in cui viveva divenne Gaggialamara. Il territorio di Prizzi entrò a pieno titolo nella storia attraverso alcuni documenti storici solo dopo la sua conquista normanna, avvenuta probabilmente intorno al 1077, e con la creazione e la conferma da parte del conte Ruggero della diocesi di Agrigento. Quando nel 1093 il conte innalzò una "Cattedra con infule pontificia" nella città di Girgenti e pose alla sua testa il vescovo Gerlando, Prizzi, "una cospicua terra prima della conquista", era presente con i suoi titoli, diritti di decima e diritti parrocchiali nella diocesi i cui confini sono descritti nel prezioso Rogerii Siciliae et Calabriae comitis privileium.

IL BARONATO.

La terra e il castello di Pirizium vengono alla ribalta intorno al 1136, quando appaiono come feudo di Guglielmo Bonello e poi di suo figlio Matteo, il famoso barone ribelle imprigionato dal re. Impossibile stabilire gli eventi successivi. Sappiamo che il casale, divenuto probabilmente demanio e denominato nei documenti di età aragonese Santo Angelo de Pericio o semplicemente Santo Angelo, fu occupato con atto illecito e violento da un conte Giovanni Maletta (1303-1371), ma in seguito il suo tradimento fu concesso in enfiteusi a Francesco Valguarnera (1390-1397). La prima vera investitura feudale fu fatta nel 1397 da re Martino a Raimondo de Apilia, ma la terra e il castello di Prizzi divennero propriamente baronali con il privilegio concesso da Martino il Giovane a Nicola de Abellis all'inizio del 1400.

Nel primo decennio del secolo avvenne una strana transazione tra una Margherita de Apilia e un Fra 'Nicolò Cotto di Prizzi, inviati dalla lontana abbazia di Casamari nel Lazio. I due commissionarono al notaio de Picthacolis di Corleone transiti o trascrizioni di diplomi antichissimi, copie che, per struttura diplomatica e dati storici, furono ritenute false da Paolo Collura. Secondo il privilegio del 1155, trafitto il 19 gennaio 1400, Matteo Bonello donò le terre del feudo di Prizzi al convento di Sant'Angelo, situato nel luogo dell'odierno santuario della Madonna del Carmine e dipendenza dell'abbazia di Casamari. Il padre Guglielmo l'avrebbe fondata nell'amena vallata pianeggiante, detta Magliano, terra della diocesi di Girgenti ancor prima dell'arrivo dei Normanni, ai piedi del monte Prizzi e circa mezzo chilometro a sud del paese, e avrebbe assegnandola alle suore cistercensi in vesti bianche, fuggono dai turchi da Gerusalemme. Dopo una lunga opera di evangelizzazione e di dominio enfiteutico sulla città, il monastero cadde in rovina, ma le sue rovine furono riadattate intorno al 1582, quando vi si stabilirono i Carmelitani. L'attuale chiesa della Madonna del Carmelo fu invece edificata nel 1638 sui resti della chiesa di S. Angelo o S. Michele Arcangelo, anche se la sorgente in pietra della vasca riporta la data 1541. L'ala orientale e quella settentrionale del convento rimangono, insicuro e inabitabile, lo spazio intermedio, che era un chiostro con un piccolo giardino e un pozzo recante l'iscrizione: "PPMG 1617"; l'arco del muro di cinta nel grande spiazzo antistante la chiesa era già crollato all'inizio del Novecento. Il convento aveva una struttura che non mancava di bellezza nell'equilibrio delle parti. Con un altro transunto del 2 dicembre 1416 dello stesso notaio, il re Guglielmo II con la Regiam concedet Maiestatem privilegio del 1 novembre 1161, avrebbe "concesso, confermato e nuovo donato al monastero di S. Angelo de Peritio, costruito in onore di Dio e dei beati Angeli tutta la tenuta del castro di Peritium e del castro, come ci viene richiesto dal nobile Matteo Bonello, nostro parente e fedele ". In virtù di questi e dei successivi privilegi, l'abbazia concesse le terre in enfiteusi alla baronessa, che le cedette al giovane figlio Raimondetto. Poiché suo zio Ludovico de Apilia risiedeva a Valencia, perse il feudo, il re Alfonso V il Magnanimo concesse la terra e il castello di Prizzi insieme al titolo baronale con tutte le pesanti oppressioni feudali a Giovanni I Villaraut che diede inizio a una lunga dinastia ( 1418-1516). Con lui cambiò radicalmente la struttura del paese, perché il re con diploma del 30 maggio 1423 gli concesse anche il privilegio del mero e misto impero, cioè la facoltà di poter torturare, tormentare, massacrare, condannare alla morte, mutilazioni, asportazione di alcuni arti, fustigazioni o "qualsiasi altra punizione atroce". Nello spiazzo, dove ora sorge il monumento ai caduti 1915-18, furono innalzate, non ossequiose, la forca e la forca per i contadini poveri, al piano terra dell'odierno Palazzo Comunale, addossato a via del Collegio, fu attivato il carcere ad uso di un'enfiteuta, che per privilegio reale divenne illegalmente barone e signore assoluto della terra. Un suo successore, un Giovanni II, compì un altro atto eccezionale e scioccante, che cambiò la geografia e la storia di Prizzi. Nel 1483, avvalendosi del privileium o licentia populandi, di prerogativa regia, concesso ai profughi albanesi con i 25 articoli. dei Capitoli di Palazzo Adriano buona metà del territorio del feudo, cioè la parte lungo i confini del monastero di S. Cristoforo, e quindi anche del borgo di Filaga. Questo sconvolgimento di importanza capitale, che sconvolse e mutò definitivamente la consistenza e i confini territoriali di Prizzi e ne influenzò radicalmente e per sempre gli equilibri socio-politici, fu operato da un barone quasi sconosciuto, e - incredibile! - con semplice atto notarile tra due privati ​​cittadini, arbitrario, in quanto privato e personale. Ma è così che sono andate le cose in tempi di confusione legale e arroganza. Nel preambolo dei Capitoli si affermava che il barone "avendo l'intenzione, lo scopo e la volontà che il luogo o Casale del Castro di lu Palazu di Adriano dello stesso magnifico signore, delle pertinenze della detta terra di Prizzi, essere abitato, accresciuto, popolato "," Per cautela, certitudes et firmizza di li ditti habitanti e habitare volenti ni lu locu predittu "o Casale, fece, firmò e giurò" alcuni capitoli, firmati tra lo stesso magnifico Signore e l'onorevole Giorgio Bonacasa Greco ", che chiede se vuole i suddetti capitoli per sé e per tutti gli altri abitanti e che vorrà abitare in detto luogo o Casale. Al momento del passaggio della corona da Ferdinando il Cattolico (1479-1516 ) per successione a Carlo V (1516-1556) degli Asburgo d'Austria la baronia passò ad un altro ramo dei Villauraut. Il nuovo re infatti il ​​13 gennaio 1517 investì il Barone Carlo Villaraut e Crispo del terreno e del Castello di Prizzi. La nuova baronia della famiglia Crispo governò Prizzi fino al 1603, quando in seguito all'opposta baronia di Giovanna Villaraut si estinse il filo diretto della famiglia Crespo e Villaraut. In conseguenza del matrimonio della nobildonna con Francesco del Bosco e Aragona, si innestò una famiglia palermitana molto più potente, quella dei Bosco, che inaugurò un nuovo e secolare ramo dinastico (1603-1721), molto più potente e prestigioso nella baronia di Prizzi. e in forte progresso nelle fortune patrimoniali e politiche. Vincenzo II del Bosco Crispo e Villaraut, duca di Misilmeri, primogenito e quindi erede e successore, riunirono nella sua persona l'asse ereditario di tutti i diversi titoli nobiliari delle due famiglie, di cui accrebbe drammaticamente il potere politico-economico. Unifica infatti il ​​titolo di baronia di Prizzi, come erede della linea materna del Crispo e Villaraut, con i numerosi altri della famiglia paterna del Bosco. L'eredità dei titoli della famiglia del Bosco passò, alla morte di Giuseppe del Bosco Sandoval, alla nuova famiglia Bonanno di Roccafiorita (1721-1787). Anche Francesco Bonanno il Grande divenne barone di Prizzi nel 1721, in quanto erede di tutti i beni feudali dello zio materno Giuseppe del Bosco. Le sue fortune e la sua influenza politica non si sono fermate. Il figlio Giuseppe Bonanno e Filangeri e del Bosco, figlio di seconde nozze con Anna Maria Filangeri e Ventimiglia, investito lo stesso giorno, 24 dicembre 1740, del titolo di principe di Roccafiorita, della Baronia, Terra e Stato di Prizzi, del Ducato, Terra e Castello di Misilmeri, “al quale succedette come primogenito e per la morte di Francesco, suo padre”, e ebbe l'investitura di principe di Cattolica e Cavaliere del Toson d'Oro. Giuseppe inoltre "investì, il 24 dicembre 1740, nella Contea e terra dei Vicari; e come erede universale del defunto Francesco Bonanno del Bosco, suo padre". Mai prima la baronia di Prizzi aveva avuto una famiglia così potente. Negli anni entusiasmanti delle riforme, la linea ereditaria dei principi cattolici continuò a possedere la baronia di Prizzi, che conosceva la terra solo dai loro titoli, perché viveva nello splendore e nel lusso della Corte di Napoli. Tra i più alti apparati aristocratici Come se i titoli e gli immensi possedimenti non bastassero, il Tribunale di Napoli e di Sicilia volle comunque avvantaggiare il nostro eminente barone Giuseppe Bonanno e Filingeri e il 25 settembre 1773 lo assegnò "come ricompensa per i suoi meriti" bene "su 333.10 rendite annuali sopra il Tesoro Reale ". Tutto è più chiaro, se si considera che nel 1770 fu nominato Cavaliere Maggiore della potente Regina Maria Carolina di Lorena, Arciduchessa d'Austria, figlia dell'Imperatore Francesco I (1745-1765). L'ascesa fu inarrestabile: nell'aprile 1775 dal posto di equitazione della regina "fu avanzato al maggiore cavaliere del re, che è forse il primo e il seggio supremo della corte", secondo Villabianca. Gli succedettero il figlio maggiore Giuseppe Bonanno e Branciforte, Borromei e Pignatelli, principe di Cattolica, e "si investì nella baronia, Terra e Stato di Prizzi, il 3 luglio 1798, come primogenito e per la morte di Francesco Antonino, suo padre ", ma fu l'ultimo ad ottenere l'investitura legale della baronia di Prizzi, titolo vuoto senza feudi. Con il Real Dispaccio, firmato il 28 luglio 1787 a Napoli da De Marco, dopo più di un anno di indagini e processi, l 'atto eccezionale di confisca della baronia di Prizzi al fisco: "Avendo fatto esaminare più volte il re da questo consiglio dei presidenti e consulente non meno che da questo consiglio di Sicilia al quale il feudo di Prizzi di proprietà del principe di Cattolica apparteneva per giustizia per concessione degli abati commendatari di Casamari "e trovò" un'invasione e un'usurpazione abusiva dell'unione che rese il tribunale romano del monastero di Prizzi all'Abbazia di Casamari, e l'appropriazione di beni alla stessa abbazia, quindi illegittima e abusiva è ancora il titolo delle concessioni di lungo affitto fatte dagli abati commendatari, perché fatte da quelli che non erano i maestri ", decise" dovendo passare per l'incorporazione del feudo di Prizzi senza forma e figura di giudizio ". Inoltre, "poiché questo feudo è oggi in piena disposizione sovrana, sua Maestà ha deciso nel tempo di aderire all'Abbazia della Magione già conferita all'amato figlio Principe D. Gennaro". Il 6 agosto 1787, con nota, il viceré Caramanico lo comunicò "per l'adempimento della sua parte" al Tribunale Immobiliare, che il 9 agosto lo inviò al regio segreto di Corleone, che lo pubblicò ed eseguì anche in Prizzi il 10 agosto. Pertanto, il 10 agosto 1787 giunse presso la Real Corte della Segrezia di Corleone la delegazione di corte, per recarsi a Prizzi ed eseguire l'attuale, realis et physics incorporatio solemnis et possessio dei beni del principe della Cattolica. La Commenda della Magione non fu in verità l'eccezionale rivoluzione che i Prizzesi immaginavano tra feste e luci. Al barone secolare e distante, titolare di titolo e feudo, e priore della più lontana e misteriosa abbazia di Casamari si sostituì un altrettanto dispotico maestro con un'amministrazione più potente e atipica di tipo maniero, altrettanto distante, che operò peraltro attraverso un sistema burocratico di ferro e un'infiltrazione capillare nei gangli dell'amministrazione comunale, tanto che si può parlare di un vero e autarchico dominio reale personale di Commenda e Municipio. Il vero momento storico di cambiamento nella gestione e negli equilibri di potere nel Comune di Prizzi si è verificato con il RD 11 ottobre 1817 sulla riforma dell'amministrazione civile e le disposizioni applicative 20 gennaio 1818 (aggiornate nel 1838 e 1841), quando il nuovo la struttura dei Comuni era stabilita nei Domini Reali oltre il Faro, organizzati in forma strettamente gerarchica e piramidale in Circoscrizioni, Sottintendenze e Intendenze, il re al vertice. L'antica amministrazione, gestita dal Consiglio dei Signori e dei Giurati, di nomina baronale o reale, fu spazzata via e sostituita dal Decurionato, i cui membri furono scelti dall'Intendente della Valle dalla "lista degli aventi diritto", tra ventuno e settant'anni, preparato da una commissione composta da sindaco, 1 ° e 2 ° eletto, cancelliere e arciprete. Il Comune di Prizzi, capogruppo, era dipendente dal circondario di Corleone, guidato da un Subintendente, soggetto all'Intendenza della Valle di Palermo. Il suo Decurione oscillava in proporzione alla popolazione da 19 a 24 membri. La classe che emerse in questo nuovo contesto era quella del burgisato, suddivisa in piccola, media e grande, che forniva preti, notai e giuristi, medici (o generali) e chirurghi (chirurghi), aromatici e farmacisti, agrimisti, ma di peso I grandi proprietari e latifondisti continuarono ad esercitare un ruolo determinante.Nella variegata galassia dei comuni siciliani il passaggio alle nuove strutture amministrative centralizzate non fu indolore e immediato, ma trovò forti resistenze da parte dell'antica classe dirigente che ostacolò e ritardò e finalmente si adeguò secondo le sue esigenze. L'opposizione a Prizzi fu più pesante per la presenza preponderante della Regia Commenda della Magione, che per quasi trent'anni, grazie all'immenso potere dei suoi consulenti, aveva esteso il suo dominio su tutti i gangli vitali dell'economia del Comune attraverso un gruppo consolidato di famiglie che avevano fatto fortuna al servizio della compagnia atipica gestita dal re. Non era strano che nel 1818 Prizzi fosse ancora amministrato dai tre antichi giurati della Commenda durante la fase di transizione e rodaggio. Più sorprendente fu che Antonio Ferrantelli di Chiusa, potente supervisore della Magione, fu eletto sindaco per ordine del marchese di Ruffo, amministratore di Ficuzza, e che rimase in carica dal 12 marzo 1819 al marzo 1820, fino ai giorni della rivoluzione . la rottura di questi consolidati equilibri di potere tra famiglie ricche e influenti fu innescata dalla rivoluzione carbonara, che, intesa come atto di liberazione auspicato dallo stesso re, portò allo scoperto un ramo interno e nuovi protagonisti. Anche Prizzi, come tutti i comuni della Valle Palermo, vi aderì apertamente e all'unanimità, anche se negli anni immediatamente successivi al fallimento si vergognava quasi di nominarlo e si usavano eufemismi, come "fatti passati", "evento" , "oscillazioni", "Eventi tristi". Dal "Quadro delle popolazioni siciliane, che si sono pronunciate per l'indipendenza", a seguito del "Discorso del consiglio provvisorio di Palermo a Ferdinando I", si evince che a Prizzi, frazione di Corleone, hanno votato a favore 7.435 cittadini. Come a Palermo, la borghesia e gli artigiani, che raccoglievano il malcontento popolare per la depressione economica, erano usati dalla classe agiata, dai proprietari e dai gabelloti. Questi erano spaventati dal pesante centralismo della riforma amministrativa e soprattutto dal rigido controllo finanziario sui bilanci, o Stati discussi, segnati dalla regola ferrea della parità di reddito e di esito, dopo una gestione secolare, allegra se non spesso illegale. e fraudolento delle entrate fiscali dei numerosi doveri pubblici. Ne è prova il fatto che i nostri rivoluzionari hanno dato fuoco anche alla cancelleria comunale, dove andarono in cenere contratti e conti delle gabelle e del peculio frumentario, ma anche l'Archivio consiliare con tutte le deliberazioni dei bilanci comunali rovinati e depredati. Era l'illusione di tutti i rivoltosi, fomentati da chi aveva nell'armadio dei veri fantasmi da incenerire, che la distruzione degli archivi fosse sufficiente per liberarsi dal pubblicano. Il consiglio rivoluzionario provvisorio era composto da 19 decurioni, di cui 8 della classe dei padroni, e 10 padroni, i latifondisti Isidoro Gristina e Antonino Vallone. La presenza di frate Francesco La Corte, morto poco dopo, è emblematica del canonico Dino, anche lui stipendiato dalla Magione. Solo il 3 dicembre 1820, "in esecuzione di un ordine con lettera del Sottintendente del 27 novembre", don Salvatore Siragusa, proprietario terriero trentasettenne, si recò presso la venerabile Madrice, dove trovò che l'intero organo amministrativo e gli impiegati a pieno titolo: "in mia presenza e al devoto ciantro Bongiorno Giacomo, pose la sua mano destra sul Santo Vangelo e ad alta voce io e i candidati prestammo giuramento di osservare la Costituzione emanata". Dopo un periodo di assestamento con il sindacato di Epifanio Valencia, del vecchio gruppo di Magione, la vera stabilizzazione del nuovo ordinamento comunale avvenne sotto il sindacato del notaio Giorgio Mosca (1825-27), ma le opposizioni ei contrasti rimasero molto forti , soprattutto durante l'amministrazione di Giuseppe Tommaso Traina (1828-30). Seguirono nella carica dei sindaci Vito Traina (1830-33), Vito Valenzia (1833-34), Pietro Ignazio Valenzia (1835-38), Giorgio Valenzia (1838-39), il notaio Giuseppe Ferrara (1839-40), il il dottor Giuseppe Sparacio (1840-42), il notaio Giorgio Mosca (1843-44), l'avvocato Giorgio Valenzia (1846-48). Prizzi partecipò anche al portentoso '48, aveva un Comitato Rivoluzionario presieduto da Salvatore Siragusa e dalla sua Guardia Nazionale. Sconfitta la rivoluzione, Giorgio Valenzia (1849) torna nuovamente sindaco, seguito dal solito gruppetto di famiglie: Giorgio Blanda (1850-52), Filippo Sinatra e Vaccaio (1852-55), Luciano Gristina (1855-58) e infine Giuseppe Vajana (1859-61), l'ultimo sindaco dei Borbone. Dopo l'avventura di Garibaldi e l'annessione dei Savoia, poco o nulla è cambiato nell'organizzazione del potere. Già con il primo sindaco, Domenico Ferrara, nominato per il periodo di legge 1861-63, tornarono al potere le solite famiglie dell'epoca borbonica: Pasquale Vajana (1863-65), Giovanni Blanda (1866-69), Pietro Valenzia (1870- 73), il notaio Giorgio Sparacio per cinque anni (1873-1889) e dopo un intermezzo di Giorgio D'Angelo (1890-92), ancora fino a

a morte (1894-1897). Non meno lunga fu la sindacazione di Pietro D'Angelo, dal 1898, con una pausa nel 1903, fino al 1914. In fase di guerra, Emanuele Valenza (1914-1918) ed Epifanio Gristina (1918 e 1925) furono sindaci, con la breve parentesi della sinistra e la carica di sindaco a Giuseppe Macaluso (1919-20). Poi anche a Prizzi diventarono tutti fascisti, anche se il nostro primo podestà qualificato fu Francesco Saverio Di Chiara solo nel biennio 1927-28. E alla caduta del fascismo davanti a tutte le porte e balconi furono sventolati i tricolori in onore degli americani, arrivarono le truppe di Scelba e tutti diventarono democristiani. La storia recente è identica a quella dell'intera Italia.

Prof. Carmelo Fucarino

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